martedì 30 aprile 2019

10. Insistenza e Amore

Ho una nuova teoria stereotipata: Gli italiani insistono. Sì sì, cari miei. Qui le cose vanno spiegate bene (a volte all’esaurimento). 

Da quando sono a Roma mi ritrovo ripetutamente guardando la stessa e usuale scena: persone che parlano concomitantemente e che alzano gradualmente la voce motivati da un unico intento, cioè farsi ascoltare, farsi capire:

“Aspetta, fammi spiegare!”
“Forse non sono stato chiaro, intendevo…”
“Fammi concludere, per favore…”

La parte più bella (e che mi fa ridere silenziosamente mentre loro si uccidono) è che si mettono tutti ad argomentare così ardentemente (ad un volume altissimo!) che diventa impossibile comprendere, in modo in cui quello che si osserva è un sacco di monologhi di sordi. È una scena meravigliosa e assolutamente da vedere prima di morire. 

Alla fine, perché dovremmo dire le cose solo una volta si la natura ci ha dato le corde vocale e, per conseguenza, la possibilità di ripetere due mila volte la stessa frase? Perché risparmiare quando l'abbondanza è così invitante? Così sembra la logica italiana.

L’insistenza ha anche il suo aspetto alimentare. Avete già provato (dovrei dire osato?) a dire “no” a un’offerta di cibo fatta da un cittadino italiano? L’esperienza ha completamente cambiato la mia concezione di insistenza. Qui in Italia, dire “no” al cibo sembra una sorta di errore peccaminoso, per il quale si dovrebbe sentire colpa oppure vergognarsi. “Ma perchè non vuoi un secondo/terzo/ottavo!! pezzo di lasagna? Non ti piacciono le lasagne?” (aggiungere un viso triste e sconvolto a questo enunciato). Nella mente della vecchietta che vi offre la pasta, se vi piacciono le lasagne, allora le dovrete mangiare fino al supplizio (altrimenti non erano buone). 

Credo che l’insistenza stia talmente nella coltura che anche il linguaggio sia stato contaminato. Mi spiego (perchè anch’io inizio a diventare così spiegatrice!): per gli italiani, il pleonasmo - anche se sbagliato - è socialmente accettato. “Salire su”, “scendere giù”, “uscire fuori” sono possibilità perfettamente normali. Essendo brasiliana, questa cosa di “aggiungere un termine assolutamente inutile che era già contenuto nella frase” (mia definizione bizzarra di pleonasmo) mi è sempre sembrata assurda! Siamo pratici, pelo amor de Deus! Ogni tanto facevo la rompiscatole chiedendo al mio fidanzato “e perché invece non usciamo dentro?” quando mi proponeva di fare una passeggiata e prendere l’area usando l’espressione pleonastica che mi produceva dei brividi di orrore grammaticale e, allo stesso tempo, un sorriso genuino.

Sì, il pleonasmo fa sorridere! La ripetizione fa sorridere perchè, malgrado l’irritazione dell’insistenza, la fonte di questo eccesso è la passione, è l’amore. 

Anche la pubblicità ha capito lo fascino di un modesto “a me mi piace”. “A me mi piace”, anche se sbagliatissimo, perdura nel vocabulario di tanti e tanti italiani perché rivela l’anima del cuore italiano.

Mi appoggio su Wikipedia per difendere la mia teoria: “Il pleonasmo (dal greco πλεονασμóς: pleonasmós, "esagerazione") è un’espressione per cui si ha un'aggiunta di parole o elementi grammaticali non necessari, ma ritenuti erroneamente esplicativi di un'espressione già compiuta dal punto di vista informativo e sintattico. A questo accorgimento, il cui effetto è una ridondanza, si ricorre al fine di dare alla frase una maggiore intensità, forza, chiarezza o efficacia.

Ecco! La ridondanza non è invano. Insieme a lei, vengono l’intensità, la forza, tutta la passionalità italiana! Come trasmettere quel mondo di sentimenti provati senza gonfiare la sintassi? Come farlo? L' amore è enfatico, la passione è ripetitiva. E così sarà anche l’oralità italiana.

Per me, è fondamentale conoscere le regole; é un rispetto alla propria lingua. D’altra parte, forse sia ancora più fondamentale saper lasciarle umilmente accanto nel nome dell’amore. A me piace l’Italia. Ma a me, mi piace ancora di più la gente.
Esageriamo! Amiamo!



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