martedì 26 febbraio 2019

1. Ciao (versione italiana)

Ciao è la bellezza in forma di fonema. Nasce con una festosa “c” e si dilata con una sequenza di TRE vocali che cantano. Sembra un esercizio di musica per riscaldare la voce. Oppure una meditazione! Ciao… OMMM! Ciao è fantastico.

Ciao non è uguale a tchau*. Ciao è oi ed è tchau senza perdere l'identità. Il furbacchione è così versatile che innaugura e chiude dialoghi, enunciati e storie. Ciao è l’aigologia degli incontri! È dove tutti si riuniscono e dicono arrivederci... cioè, se invertiamo l’ordine dei discorsi in italiano, fine e inizio si mantengono. Sarà ciao il palindromo delle conversazioni?

Tornando per la stessa strada sicuramente lo incontreremo!

Io ho incontrato il mio primo ciao 11 anni fa. Scendevo le scale di Eurocentres Dublino. All'epoca faceva fico studiare in Europa nelle vacanze di luglio e la mia prima estate europea (che non è stata così estiva alla fine…) fu in Irlanda. 

Chiedo scusa per aver accantonato così questa bella città solare, ma percorrere il ritorno a volte implica dover fare una piccola deviazione.

E allora eccolo lì… il frutto più accattivante che lo stivale mediterraneo abbia mai generato, dicendomi: “Ciao!”
Il mio cervello programmato in portoghese s’è bloccato. Quando il ragazzo più bello della scuola di inglese ti incontra e ti dice “addio” (tchau è addio in Brasile) sarà un bel presagio? Ci sta provando? Oppure ti sta mollando precocemente? Mi starà cacciando via dalla scuola e dal suo continente?!

Esito un po’ ma rispondo: Hi!
Lui insiste, il sorriso ancora più largo: Ciao!
Non è possibile. O questo italiano è cretino oppure mi sta prendendo in giro.

Fortunatamente mi sbagliai. L’italiano in questione è il mio attuale marito, una delle persone più intelligenti che abbia mai conosciuto e non mi prendeva in giro. Quello che successe fu che non avevamo una lingua in comune: non capivo le lingue che parlava e viceversa; l'unica cosa che ci riuniva era quel semplice, ma non meno potente… Ciao!

Ciò che ci sosteneva era quella corta e vocalica parola. E si sentiva per tutta scuola: ciao nella mensa, ciao nel corridoio, ciao nel laboratorio informatico (a quell’epoca non c’era Whatsapp; bisognava prenotare un computer per inviare delle email alla famiglia. Mi sento un dinosauro)... insomma, era ciao dappertutto.

Attenzione, non sottovalutate così alla leggera l’efficacia di un ciao. Insisto sul fatto che le nostre attuali conversazioni profonde, le nostre discussioni e anche i litigi non avrebbero mai potuto esistere se non ci fosse stato prima un ciao.

Devo confessare che certe volte mi ha rattristato l’idea di pensare che l’origine della nostra storia fosse stata un termine che (in portoghese) si rivolgesse automaticamente all concetto di addio. Sono una psicoanalista strana, propensa a delle superstizioni… guarda te se prima-parola-della-coppia-con-suono-di-addio porta sfortuna eah?! Non si sa mai.

Ed ecco che sono andata a cercare l’etimologia della parola. Eureka! Nonostante “ciao” sia usato in Italia in delle situazioni completamente informali, la parola deriva dal dialetto veneziano s'ciào che viene dal latino sclavus. Cioè, il termine era usato nel XVIII nel senso di “sono suo schiavo” che in portoghese corrisponde all'idea servile di “sou ao seu dispor”.

Ho saltato di gioia nello scoprire che “il mio ciao", la “mia parolina” non aveva niente di banale! Nemmeno esprimeva il concetto di scioglimento. Al contrario! Originariamente “il mio ciao” è una riverenza rispettosa, una venerazione cortese di adorazione all’altro.

Che sollievo! Ora sì che il mio comportamento superstizioso poteva dormire in santa pace. Tutto riprendeva il suo corso con molta più conformità. Dopotutto, se esistesse qualcosa di più servile, cortese e reverenziale dell’amore, ancora non la conosco... 

E quindi ciao!


* In portoghese si dice "oi" quando si arriva e "tchau" quando si va via.





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